Inquadramento diagnostico della dipendenza affettiva
L’organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) descrive la dipendenza patologica come una “condizione psichica, talvolta anche fisica, derivante dall’interazione tra un organismo e una sostanza, caratterizzata da risposte comportamentali e da altre reazioni che comprendono un bisogno compulsivo di assumere la sostanza in modo continuativo o periodico, allo scopo di provare i suoi effetti psichici e talvolta di evitare il malessere della sua privazione”. Non è l’oggetto in sé a a determinare una dipendenza ma il tipo di legame che l’individuo vi stabilisce. Qualunque cosa, quindi, può diventare fonte di tale relazione. Secondo questo principio, non stupisce affatto che anche l’amore può trasformarsi in una droga, con effetti a volte tragici per la persona interessata, basti pensare ai casi di cronaca in cui donne subiscono maltrattamenti da parte di uomini violenti.
Volendo dare una definizione diagnostica della dipendenza affettiva, Il gruppo di Reynaud (Reynaud, Karila, Blecha e Benyamina, 2010) ne propone una basata sulla durata e sulla frequenza del disagio percepito che si presenta come: un modello disadattivo o problematico della relazione d’amore che porta a deterioramento o angoscia clinicamente significativa, come manifestato da tre (o più) dei seguenti criteri (che si verificano in ogni momento, nello stesso periodo di 12 mesi, per i primi cinque criteri):
(a) ripetute relazioni amorose esaltate, senza alcun periodo di attaccamento durevole;
(b) ripetute relazioni amorose dolorose, caratterizzate da attaccamento insicuro.
Occupandomi di questo problema da anni, mi permetto di dare il mio contributo senza tecnicismi: per dipendenza affettiva intendo quella condizione in cui si rimane imprigionati in un rapporto nonostante la sofferenza e la mancanza cronica di reciprocità. Ovidio ne riassume poeticamente il dramma con la frase “Non posso stare con te né senza di te.”
Pur essendo un disturbo prevalentemente femminile, insorge anche tra i maschi. Alla base di questa differenza sembra esserci uno stereotipo di genere che spinge gli uomini ad apparire più forti e meno dipendenti. Inoltre, i due sessi avrebbero delle preferenze a reagire ai traumi subiti. Tra gli uomini è più comune far fronte al dolore attraverso il meccanismo dell’identificazione con l’aggressore, che comporta l’assunzione del ruolo precedentemente subito, oppure l’esprimere una dipendenza attraverso l’uso di sostanze. Nelle donne, invece, si manifesta la tendenza a rivivere le violenze subite nel tentativo illusorio di controllarle e riscattarsi dal passato.
Il trattamento della dipendenza affettiva può avvenire a più livelli: nei casi in cui i sintomi ansiosi o depressivi siano troppo intensi è bene affiancare un sostegno farmacologico alla psicoterapia. Anche i gruppi di auto-aiuto sono molto utili. Il confronto con le persone che vivono lo stesso problema favorisce la presa di consapevolezza e sostiene nel prendere un impegno condiviso. Inoltre, questo di tipo di interazione alla pari aiuta a superare sentimenti di vergogna, colpa e fallimento alla base di una fragile autostima. In terapia individuale, la persona va aiutata inizialmente a riconoscere il problema e tutte le conseguenze psico-fisiche associate. In fase più avanzata, è importante lavorare sulle esperienze precoci di abbandono e trascuratezza emotiva, sugli eventuali traumi o abusi e, più in generale, su qualunque causa possa aver generato la convinzione di non essere degno/a d’amore. Solo così i membri della coppia potranno percepirsi e rispettarsi come individui separati, impegnati in una relazione che va ad arricchire le loro vite.
BIBLIOGRAFIA
A cura del dr. David Palazzoni
Volendo dare una definizione diagnostica della dipendenza affettiva, Il gruppo di Reynaud (Reynaud, Karila, Blecha e Benyamina, 2010) ne propone una basata sulla durata e sulla frequenza del disagio percepito che si presenta come: un modello disadattivo o problematico della relazione d’amore che porta a deterioramento o angoscia clinicamente significativa, come manifestato da tre (o più) dei seguenti criteri (che si verificano in ogni momento, nello stesso periodo di 12 mesi, per i primi cinque criteri):
- Esistenza di una sindrome da astinenza per l’assenza dell’amato, caratterizzata da significativa sofferenza e un bisogno compulsivo dell’altro;
- Considerevole quantità di tempo speso per questa relazione (in realtà o nel pensiero);
- Riduzione di importanti attività sociali, professionali o di svago;
- Persistente desiderio o sforzi infruttuosi di ridurre o controllare la propria relazione;
- Ricerca della relazione, nonostante l’esistenza di problemi creati dalla stessa;
- Esistenza di difficoltà di attaccamento, come manifestato da uno dei seguenti:
(a) ripetute relazioni amorose esaltate, senza alcun periodo di attaccamento durevole;
(b) ripetute relazioni amorose dolorose, caratterizzate da attaccamento insicuro.
Occupandomi di questo problema da anni, mi permetto di dare il mio contributo senza tecnicismi: per dipendenza affettiva intendo quella condizione in cui si rimane imprigionati in un rapporto nonostante la sofferenza e la mancanza cronica di reciprocità. Ovidio ne riassume poeticamente il dramma con la frase “Non posso stare con te né senza di te.”
Pur essendo un disturbo prevalentemente femminile, insorge anche tra i maschi. Alla base di questa differenza sembra esserci uno stereotipo di genere che spinge gli uomini ad apparire più forti e meno dipendenti. Inoltre, i due sessi avrebbero delle preferenze a reagire ai traumi subiti. Tra gli uomini è più comune far fronte al dolore attraverso il meccanismo dell’identificazione con l’aggressore, che comporta l’assunzione del ruolo precedentemente subito, oppure l’esprimere una dipendenza attraverso l’uso di sostanze. Nelle donne, invece, si manifesta la tendenza a rivivere le violenze subite nel tentativo illusorio di controllarle e riscattarsi dal passato.
Il trattamento della dipendenza affettiva può avvenire a più livelli: nei casi in cui i sintomi ansiosi o depressivi siano troppo intensi è bene affiancare un sostegno farmacologico alla psicoterapia. Anche i gruppi di auto-aiuto sono molto utili. Il confronto con le persone che vivono lo stesso problema favorisce la presa di consapevolezza e sostiene nel prendere un impegno condiviso. Inoltre, questo di tipo di interazione alla pari aiuta a superare sentimenti di vergogna, colpa e fallimento alla base di una fragile autostima. In terapia individuale, la persona va aiutata inizialmente a riconoscere il problema e tutte le conseguenze psico-fisiche associate. In fase più avanzata, è importante lavorare sulle esperienze precoci di abbandono e trascuratezza emotiva, sugli eventuali traumi o abusi e, più in generale, su qualunque causa possa aver generato la convinzione di non essere degno/a d’amore. Solo così i membri della coppia potranno percepirsi e rispettarsi come individui separati, impegnati in una relazione che va ad arricchire le loro vite.
BIBLIOGRAFIA
- Ovidio. Amori. Einaudi, 1995.
- Reynaud M, Karila L, Blecha L, & Benyamina A. Is love passion an addictive disorder? American Journal of Drug and Alcoholic Abuse, 36(5), 261-267, 2010.
A cura del dr. David Palazzoni
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